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i posteri

               . . . . . . Coloro,
Che questo tempo chiameranno antico.

il tempo, che fu da Romolo a Tarquinio

               . . . . . . Dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia;

Il venir della notte:

     Era quell’ora, che volge il desio
          A naviganti, e intenerisce il core
          Lo dì, che han detto a dolci amici addio,
     E che lo novo peregrin di amore
          Punge, se ode squilla di lontano,
          Che paia il giorno pianger che si muore.

Nata la poesia innanzi che il Fenicio Cadmo avesse trovato modo di arrestare in carte le volubili parole, innanzi che filosofi avessero scoperto il vero delle cose, e i segni possibilmente singolari a singule idee, la poesia, dissi, fu dall’inopia costretta a valersi di metafore e di tropi, cioè di trasporti e d’inversioni, La povertà divenne in fatti ricchezza sì, che consacrata ne’ responsi degli oracoli e imitante l’armonia delle sfere fu tenuta favella degli Dei sola degna di celebrarne le lodi, Essa, dirò così, ricordevole degli umili suoi natali sdegna la pompa de’ dotti parlari, e contenta a tenuità di suo sapere antepone l’apparenza alla realtà; lascia correre il Sole in sua quadriga, fa fuggire le isole, i lidi, i porti, e fa nascere l’Espero dalla cima del monte Eta. Ciò ben vide chi es-