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assai mi dubito, che speranza facile del pari possa nascere leggendo nell’Alighieri, e nel Carteromaco. A chi tale fiducia entrasse nell’animo saria tolta la pena, che Orazio volle dare a poeta cousigliando a studiar sì, che:

Saepe caput scaberet, vivos et sole ungues.

Ora, per quanto la esperienza lo mi consente, dirò del modo, pel quale penso, che ogni concetto, ed anche il più vulgare possa inalzarsi a quella poetica forma, che è meraviglia di ciò, che si legge nelle odi di Pindaro e di Orazio, nelle Georgiche di Virgilio, e nella Divina Commedia. Parmi, che a tanto si arrivi col buon uso delle figure grammaticali. I tropi e le metafore, che in sè ricevono la retorica figura della similitudine, raccolgono nel minor possibile volume di segni il maggiore possibile numero d’idee a guisa di specchio, che adunando fascicoli di raggi Solari riscalda e accende gli obietti. Nè qui vorrò notare sinecdochi, e metonimie, ed altre figure conosciute a quelli, che dalla soglia cominciano a salutare le Muse; dirò, come ogni semplice idea scritta naturalmente in ogni intelletto, in ogni cuore s’inalzi a poetica ragione, con adunare cumulo di altre a quella circostanti. E poichè il fatto rischiara il detto, farò di mostrarlo con esempi. Il nome di Adamo diviene poesia in questi versi:

                         ......Il petto onde la costa
Si trasse per formar la bella guancia,
Lo cui palato a tutto il mondo costa,