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di retoriche figure in ugual modo si diparte dal l’uso della prosa, e di que’ tropi imaginosi arditi, che sono anima e luce di poesia comica e ditirambica, ossia didattica e lirica.
Ogni nazione amò sì il canto e sì la poesia, l’uno e l’altra fiore di umanità, letizia della vita. Se quale è della scienza tal fosse il bello della poesia, la piacente qualità sarebbe ovunque tutt’una. Ma poichè non uno il clima, non una la favella, non uno il senso, non una l’aria della faccia de’ viventi nell’universo, gusto in poesia non può essere ovunque tutt’uno. Innumerevole è il numero di arabe poesie, che l’inglese Jones invano tentò di fare aggradire alla culta Europa. Fu lodato l’ingegno, l’effetto no di chi volle aggiungere a nostre poetiche dovizie le fantasie del Bardo di Calidonia proprie al nubiloso aspetto di quelle spere, non all’azzurro zaffiro dell’italico cielo. Ora nuova sì mostra a noi una foggia di lettere, che rifuggendo quel mezzo, in cui si contiene il bello ossia il vero, troppo rade la terra, o negli eterei spazi della psicologia sorvola in guisa, che sovente ad ogni veduta si nasconde a ritroso di ciò, che vuole un’arte usata e fatta a nobilitare, e a tragittare le idee dalla ragione alla fantasia, dall’intelletto al senso. Si abbattono altari, a’ quali da tanti secoli non fumano incensi, si vuole abolito un codice poetico, spenta una tradizione, tolta una eredità, che giovò e giova al bello delle Arti. A chi farà noia, od inganno leggere?
L’acqua che io prendo, giammai non si corse,
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nove Muse mi dimostran l’orse.