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matico Diomede fa detto modulata imagine del verso. Quale il canto verso la semplice proferenza, tale è la poesia verso la prosa; e come senza misura di tempo non è canto, così nè manco poesia senza metro. Chi lo stimò non ad ella necessario avrebbe colto nel vero dicendo, che metro non fa poesia. Da quali norme sia retta quest’arte disputarono letterati e filosofi d’ogni nazione, tra’ quali capo di schiera appare quel di Stagira. Egli dirittamente apprezzando i probatissimi esempi pose leggi, che niuna posterità ebbe trovato ove emendare. Meglio per chi tutte quante bene le osserva. Che se i macchinosi drammi del Sofocle Inglese sono venuti a dimostrare in effetto, che taluna delle publicate leggi, la unità di luogo, di tempo e di azione, senza molto patimento dell’arte trasgredir si potea, è notevole che quella legge fu dettata ai teatri di Atene, ed osservata in Roma, ove sovente la frequenza degli spettatori perveniva al numero di ottanta mila. Alla chiarezza della favola era colà bisogno una legge, che non è domandata da i nostri teatri, ove ogni lunga e varia istoria in foggia drammatica rappresentata può da popolo numerabile essere bene udita e compresa. Se non da foggia di architettura propria ai luoghi, ma da poetica intrinseca ragione fosse nata e posta quella legge, valore qualunque di poeta non l’avrebbe impunemente violata.

Non è mio proposito ragionare di tale foggia di poesia, nè di quella, che mettendo a campo terrestri e celesti volontà risolve in esiti di parlamenti e di battaglie i destini di regi e di popoli. Ivi tale si richiede una beata e ricca vena, che florida del più nobile idioma, e di tutta la pompa