Pagina:Strocchi - Elogi e discorsi accademici.djvu/116

116

citori sono vilipesi in voce di venditori di rancide parolette, il bello stile riputato vanità; e non sanno questi innocenti che vanità diverranno le cose non conformate a perfetta eleganza. Nobili cose in abito ignobile sono verso le lettere ciò, che rozzi marmi e bronzi al cospetto delle arti. In vero quanto la materia è più pronta a rispondere, tanto più bella e durevole in sè riceve la forma. Se il giogo di Pindo senza la scorta del bello stile fosse per avventura possibile a salire, appianata non che addolcita ne sarebbe l’asprezza; ma l’arte andrebbe spenta, o alla condizione ingloriosa de’ mestieri adeguata. Lo bello stile apre le porte della gloria e della immortalità, per esso dottrina, ingegno, civiltà di genti sfavilla, anili favolette, cose non cose, sanno vivere e fiorire per esso. La ragione le condanna, la fantasia le assolve. La voce, che in mal punto giugnesse a desertare la Classica scuola, sarebbe cenno a chiuder l’entrata a studio di belle lettere e di belle arti nate di un ceppo sempre congiunte partecipi sempre di una sorte, testimone e misura di gentilezza di nazioni; sarebbe mano a spezzare la pietra Lidia, l’Archetipo del Bello, a cui la ragione universale o vogliam dire la filosofia non può sopperire senza indurre setticismo interminabile, senza fondar laberinto, da cui non saprebbe uscire chi fosse entrato, costretto alla fine a cercare la via del ritorno là donde fu fatta la mala dipartita. Si rassicuri però ogni buon zelatore di nostra avita fama letteraria. Inviando lo sguardo intorno da Lilibeo alle Alpi scorgerà in ogni lato qualche animoso, che veglia a guardia di quei lauri, di que’ fonti, di quel colle amabili stanze,