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digi di Bernardo Tasso, ed altri poemi non pochi, a pochi sono letti o conosciuti? E sì che in quelli nè lingua nè cose nè armonie si lasciano desiderare. Penso, che alla veduta publica li nasconda il difetto di luce, che dall’aspettazione è promessa. In che consista questa luce e quest’arte, che per intervallo non breve divide la poesia dalla metrica prosa, non è qui loco a disputare; pure accennerò parermi riposta nello studio e nella perizia di mostrare la predicata idea in tale faccia, che fra le possibili sia secondo il vero per apparire la più nuova, la più bella. Per quali vie la mente s’innalzi a tanto, sarà materia di altro ragionamento. Or qui è dove si apre a traduttore campo di far prova di sua inventiva nell’indagar compensi, nel crear modi, che meglio si possono sentire nell’animo, che discorrere con l’intelletto; nè già da quelli, che furono dall’autore trovati, si può tuttavia cavar giovamento; sovente la diversità, o la povertà tanto non concede a ciascuno idioma.

Si disputa da taluni se al genere classico o romantico sieno da riferire i canti di Francesca da Rimini e del conte Ugolino; ivi lacrimosi, ivi domestici i casi, ivi nè l’ombra manco di greca mitologia. Quale che sia il genere, a cui piaccia di riputare que’ canti, vero è, che portati dalla fama vanno per la mente e per le bocche de’ nostrali e degli esteri. Non avviene altrettanto de’ casi di Giulietta Cappelletti e di Romeo Montecchi, e sì che sono pieni di lacrime e di pietà, sono domestici, sono quante si vogliono cose; sarebbon essi al tutto ignorati, se talvolta la scena non li riducesse per poco alla nostra memoria. Perchè questo divario? Perchè altri colori usò l’Alighieri, altri