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viaggi agl’ingegni. Il sig. d’Alambert pensava doversi a buon traduttore comunemente con l’autore i primi onori. Quell’acuto e terso ingegno del conte Magalotti era in forse quale del comporre e del tradurre fosse maggior negozio. Il Bettinelli giudicò più facile il primo. Credo che quel dubbio, e quel giudizio sia nato di qui, che in quanto al vestire di abito onesto qual si voglia subbietto, gli scogli, ai quali si suole offendere, più sovente si fanno incontro al traduttore, che all’autore. Questi salta ciò, che pena a significar degnamente secondo suo concetto; quegli costretto a seguire dovunque le poste del suo duce debbo movere in cammino sì facilmente, sì liberamente, che non paia guidato da forza di legami, de’ quali chi lascia vedere le vestigia sentirà assimilato il suo lavoro a rovescio di ricamo.

Se traduzione altro non fosse, che buona copia di buon modello, sarebbe in prezzo agli amatori di tali amenità. Giulio Romano espresse la effigie di Papa Giulio da quella pennelleggiata dall’Apelle di Urbino; si stette in forse a qual pennello attribuire la palma. Dotti archeologi sono di parere, che l’Apollo, la Venere, il Laocoonte, sieno rinnovamenti di archetipi celebrati. Vero è, che i greci scultori non adoperavano tanto in trovare quanto in condurre a più perfette le trovate forme. Sia di ciò come altrui aggrada. Altra intanto io stimo essere la faccenda di chi ritraggo pitture, altra ben altra quella di chi trasporta poesie in suo linguaggio. Atti, linee, colori là si vogliono tutti uno, lodati a misura che all’esemplare indifferenti; qua, salvo il disegno, altri colori, altri animi, altre ingenue grazie native. A chi serbar volesse le me-