Pagina:Strocchi - Elogi e discorsi accademici.djvu/107


107

z’altro esame conchiudere: chi toglie a ritrarre in propri colori prose o poesie altrui si chiama egli stesso per suo fatto aver difetto d’ingegno e di fantasia. Infine è pregio di poetica inventiva ovunque lo stile accada conforme alle regole dell’arte.

Non è ragione costringere in confini di tempo, e privare un’arte bella di qual sia diritto conceduto a legittimo genere di studi. Chiamo di tal nome quello, che per osservata prescritta usanza visse celebrato ad ogni civile nazione. Era in piena età la consolare e imperiale Roma, quando il più eloquente degli oratori, il più elegante de’ poeti amavano l’arte di cui ragiono; e non erano giovani le nazioni, nè giovani i famosi, che recarono nel patrio idioma poemi e favole della Grecia e del Lazio, Firenzuola, Caro, Marchetti, Bentivoglio, Monti, Pindemonte in Italia; Brebeuf, Delille in Francia, Pope in Inghilterra, Woss in Germania. Taccio di viventi, ai quali non io:

                    . . . . . . Detrahere ausim
Haerentem capiti multa cum laude coronam.

Lo stesso egregio scrittore, che ebbe portata quella opinione, non ricusò di scrivere, e di raccogliere in altre pagine: Essere da pochissimi il tradurre, come quello, che domanda perizia e ingegno raro = recare d’una in altra favella opere eccellenti di eccellenti ingegni essere il maggior beneficio, che far si possa alle lettere = Chi lo stimò modo di amplificarne il patrimonio, e di provvedere al materno sermone nuove dovizie, nuove grazie. Fu chi disse le traduzioni profittevoli alle lettere, come i