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niesi armati, e posta altrove un’imboscata di mille altri soldati, quindi navigò. L’altro giorno vegnente, quando l'aurora comincia apparire, da capo navigò quivi. Laonde i Corinti ciò veggendo con grandissima fretta correvano, volendo vietar loro di prender terra. Allora usciti fuori quelli che erano nell'imboscata, ne tagliarono la maggior parte a pezzi.
Mentre che gli Ateniesi si accampavano intorno ad Olimpo nella pianura la quale era dirimpetto al campo, Nicia comandò che si dovessero spargere di molti triboli. Perché il giorno vegnente il capitano delle bande de’ cavalli de’ Siracusani, il quale per nome si chiamava Ecfanto, menando fuori la cavalleria, vituperosamente voltò le spalle, perciocchè i piedi de’ cavalli venivano confitti da triboli, di modo che molti di loro non potevano pure andare, non che fuggire. E perciò le fanterie, le quali si avevano messe in piè certe scarpe dure, ne gli ammazzavano.
Nicia s'era restato d’intorno alle mura con di pochi soldati, quando il restante dell’esercito si trovava tuttora a Tasso. Laonde avendo occupato i Siracusani il terrapieno, che era nel circuito, dove custodivasi grandissima copia di legne, né l’avendo potuto egli difendere, vi attaccò il fuoco. Perché egli si accese tosto grandissima fiamma, la quale tuttavia crescendo, quindi scacciò i nemici. In questo mentre l’esercito che era a Tasso, quivi giunto, gli diede aiuto. Fuggendo Nicia da Gilippo, che lo perseguitava, si avvide più non rimanergli luogo a salvezza; il perché tosto gli mandò un’araldo, il quale si gli dicesse,