e ostinata per costumi, accontentò. Stando Sennuccio e Bedovina nella lor poltroneria, non osavano parlare per non cadere nella pena di chiuder l’uscio. La buona femina, a cui già la festa rincresceva, e il sonno la gravava, lasciò il marito sopra una panca; e spogliatasi la gonnella, se n’andò a letto. Non stette molto, che indi passò per strada un servitore d’un gentil’uomo che andava al suo albergo: e per sorte se gli era estinto il lume che nella lanterna portava; e veduto l’uscio di quella casetta aperto, entrò dentro, e disse: là? chi è qua? Accendetemi un poco questo lume! — e niuno gli rispondeva. Andatosene il servitor più innanzi, trovò Sennuccio, che sopra la panca con gli occhi aperti posava; e addimandatolo che gli accendesse il lume, egli nulla rispose. Il servitore, che pensava Sennuccio dormisse, il prese per mano; e cominciollo crollare, dicendo: Fratello, o là, che fai? Rispondi! Ma Sennuccio, non che dormisse, ma per timore di non incorrere nella pena di chiuder l’uscio, non volse parlare. Il servitore, fattosi alquanto innanzi, vide un poco di lume che dentro d’un camerino luceva; ed entratovi dentro, non vide persona alcuna, se non Bedovina che sola nel letto giaceva; e chiamatala, e ben crollatala più volte, ella, per non cadere nella detta pena di chiuder l’uscio, non volse mai nè moversi nè parlare. Il servitore, vedendola bella e taccagnotta, nè voler parlare, pian piano se le coricò appresso; e posto la mano a gli suoi ferri ch’erano quasi arruginiti, li pose nella fucina. Ma Bedovina, nulla dicendo, ed ogni cosa dolcemente soffrendo, lasciò il giovane — tuttavia vedendo il marito — conseguire ogni suo piacere. Partito il servitore, e avuta la buona sera, Bedovina, si levò di letto: e andatasi all’uscio, trovò il marito che non dormiva; e in modo di riprensione gli