ma nelle mani; e andarono a Roma. Giunti che furono a Roma, si partirono; e uno andò in qua, e l’altro in là: procurando ciascaduno di loro fare secondo il suo potere alcuna solenne poltroneria, che fusse d’ogni laude e di perpetua memoria degna. Gordino trovò un patrone, e con quello s’accordò. Il qual, essendo un giorno in piazza, comprò alquanti fighi primari che vengono alla fine del mese di giugno; e diegli a Gordino, che li custodisse fino che andasse a casa. Gordino, che era solenne poltrone e parimente per natura molto goloso, prese uno di fighi; e, tuttavia seguendo il padrone, ascosamente a poco a poco lo mangiò. E perchè il fico assai li piacque, il poltronzone continuò il costume suo, e celatamente ne mangiò de gli altri. Continovando adunque il gaglioffone la sua golosità, finalmente in bocca ne prese uno che era oltra misura grande; e temendo che ’l patrone non se n’avedesse, a guisa di simia il pose in un cantone della bocca, e tenevala chiusa. Il patrone, voltatosi per aventura a dietro, vide Gordino, e parevagli molto gonfio nella sinistra guancia; e guatatolo meglio nel viso, vide che nel vero era gonfiato molto. E addimandatolo che cosa avesse, che così gonfio fusse, egli come mutolo nulla rispondeva. Il che vedendo, il patrone assai si maravigliò; e disse: Gordino, apri la bocca, acciò che io veda il diffetto tuo per potergli meglio rimediare. Ma il tristo, nè aprir la bocca nè parlar voleva. E quanto più il patrone si sforzava di fargli aprir la bocca, tanto maggiormente il gaglioffone stringeva e denti, e la chiudeva. Avendo il patrone fatte diverse prove per farlo aprir la bocca, e vedendo che niuna li riusciva, acciò che non gli intravenesse alcun male, lo menò in una barberia ivi vicina; e mostrollo al ciruico, così dicendo: Maestro, a questo mio servo ora è sopravenuto un accidente molto