chiamavasi Gordino; l’altro, perchè era da poco e infenticcio, tutti lo chiamavano Fentuzzo; il terzo, perchè aveva poco senno in zucca, si nominava Sennuccio. Trovandosi tutta tre un giorno a caso sopra un crucichio, e ragionando insieme, disse Fentuzzo: Dove tenete il camino vostro, fratelli? A cui rispose Gordino: — Io me ne vo a Roma. — E per far che? disse Fentuzzo. — Per trovare, rispose Gordino, alcuna ventura che facesse per me, acciò che io viver potessi senza affaticarmi. — E così ancor noi andemo, dissero e duoi compagni. — E quando il fosse di contento vostro, disse Sennuccio, io volontieri verrei con voi. E duoi compagni graziosamente l’accettarono; e dieronsi la fede di mai non partirsi l’uno dall’altro, sino attanto che dentro di Roma giunti non fussero. Continoando tutta tre il loro camino, e ragionando di più cose insieme, Gordino abbassò gli occhi a terra; e vide una gemma in oro, che risplendeva sì che gli abbarbagliava il viso. Ma Fentuzzo prima l’aveva dimostrata a’ duoi compagni; e Sennuccio la levò di terra; e se la pose in dito. Laonde tra loro nacque grandissima differenzia, di chi esser devesse. Gordino diceva dever esser sua, perchè fu primo a vederla. Fentuzzo — Anzi debbe toccare a me, diceva, perchè innanzi di lui ve la mostrai. — Anzi s’appartiene a me di ragione, diceva Sennuccio; perchè io la levai da terra e me la posi in dito. Dimorando adunque i sciagurati in questa contenzione, nè volendo l’uno ciedere a l’altro, vennero a i fatti; e si diedero per lo capo e per lo viso sì fatti punzoni, che quasi da ogni parte pioveva il sangue. Avenne che in quell’ora un messer Gavardo Colonna, uomo di gran maneggio e gentil’uomo romano, veniva da un suo podere, e ritornava a Roma. Gavardo, veduti dalla lunga i tre poltronzoni, e sentito il loro romore, si fermò, e stette