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qual era indivisibile, nacque discordia tra lor fratelli, a cui rimaner devea. E furono fatte molte e lunghe dispute, chi di loro meritasse di averla; e fino al presente pende la causa sotto il giudice. A cui veramente aspettar si debba, lasciolo giudicare a voi. Aveva Isabella già posto fine alla sua breve favola, quando, posta la mano alla sua scarsella, trasse fuori l’enimma, così dicendo.
Un nero alto destrier, con ali bianche.
Ne l’andar vola, e mai non tocca terra.
Tien dietro il freno, e spesso par che stanche
L’uomo, e nel petto valor grande serra.
Battendo or l’ali ed or le penne franche.
Corre così da pace, qual da guerra:
Ha duo grand’occhi, e nulla però vede:
Ma spesso scorge l’uom dov’ei non crede.
L’enimma ingeniosamente recitato da Isabella fu quasi inteso da tutti che altro non dimostrava se non l’alterosa e superba galea, la quale per la pece è nera, ed ha le vele bianche; ella solca il mare, e fugge la terra, acciò non si spezzi. Ha di dietro il timone che la governa; ed ha e remi da l’una e l’altra parte, che paiono ali. S’adopra a tempo di pace per mercantare, ed a tempo di guerra per guerreggiare. Ha in fronte duoi grandi occhi; e spesso per fortuna conduce l’uomo in luoghi strani, dove egli non vorrebbe. — E perchè l’ora era tarda, comandò la Signora che i torchi s’accendessero, e tutti andassero alle lor magioni: imponendogli strettissimamente che tutti la sera seguente ben preparati all’usato luogo tornassino; e così tutti unitamente promisero di fare.
Il fine della settima notte