che all’ora mi accheterò, e senza contrasto torrò la parte mia. Andolfo ancor non intendeva l’alto concetto che era ascosto nel ben disposto cuore del fratello; nè avedevasi dell’artificiosa rete colla quale egli s’ingegnava di prenderlo. Onde con maggior empito e con maggior furore che prima, contra il fratello disse: Ermacora, non ti dissi io che tu facesti le parti come fratello maggiore? E perchè non le festi? Non mi promettesti tu di contentarti di quello che da me deliberato fosse? E perchè ora mi manchi? Rispose Ermacora: Fratello mio dolcissimo, se tu hai partita la robba, e datami la parte mia, se ella non è eguale alla tua, qual ragion vuole ch’io non mi lamenta? Disse Andolfo: Qual cosa si trova in casa, della quale ancor tu non abbi avuta la parte tua? Rispose Ermacora, non averla avuta; e Andolfo diceva che sì, e Ermacora diceva che no. — Io vorrei sapere, disse Andolfo, in che mancai, che le parti non siano pari. A cui rispose Ermacora: Tu mancasti, fratel mio, nel più. E perchè Ermacora vedeva Andolfo più adirarsi, e la cosa, se più in lungo andava, poteva partorire scandolo sì dell’onore come della vita, trasse un gran sospiro; e disse: Tu dici, o amorevole fratello, avermi data intieramente la parte che di ragion mi tocca; e io il nego, e il provo con evidentissima ragione, che potrai con l’occhio vedere e con la mano toccare. Dimmi un poco, — e il sdegno stia da parte, — quando tu menasti a casa Castoria, tua diletta moglie e mia cara cognata, non eravamo noi in fraterna? — Sì. — Non si ha ella affaticata in governar la casa a beneficio universale? — Sì. — Non ha ella partorito tanti figliuoli, quanti che ora tu vedi? Non sono nati in casa? Non è ella vivuta con e figliuoli a communi spese? Stava Andolfo tutto attonito ad ascoltar l’amorevoli parole del fratello; nè poteva