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della gridata pace. Passata l’ora di compieta, venne il prelato; e disse: Tu hai pur perso, fratello, il godimento. Non è già fin ora sta’ gridata la pace. — Anzi sì, rispose Cimarosto. E tra loro fu grandissimo contrasto; e fu bisogno ch’un giudice la causa determinasse. Il quale, udite le ragioni di l’una parte e l’altra, e uditi e testimoni che apertamente deponevano tutta la vicinanza aver sentito gridar la pace, sentenziò il prelato a pagare il godimento. Non passarono due giorni, che Cimarosto, andando per la città, s’incontrò in una donna romana ricchissima, ma sozza come il demonio. Costei era maritata in un bellissimo giovane; e di tal matrimonio ogniuno si maravigliava. Avenne che all’ora a caso passò un’asinella; e a lei voltatosi, Cimarosto disse: poverella, se tu avessi danari assai come ha costei, tu ti maritaresti. Il che intendendo, un gentiluomo, che della sozza donna era parente, prese un bastone, e sopra la testa gli diede sì fatta percossa, che per mani e per piedi a casa dell’oste lo portarono. Il cirugio, per poterlo meglio medicare, gli fece rader la testa. Gli amici che venevano a visitarlo, dicevano: Cimarosto, come stai? Tu sei raso? Ed egli diceva: Deh, tacete per vostra fè, e non mi date noia; che se raso o damaschino io fosse, io valerei un fiorino il braccio, che ora nulla vaglio. Venuta poi l’ultima ora della sua vita, venne il sacerdote per dargli l’ultima unzione, e cominciollo ungere; e venuto con l’unzione ai piedi, disse Cimarosto: Deh! messer, non mi ungete più. Non vedete voi come presto vado e leggermente corro? I circostanti, udendo questo, si misero a ridere; e Cimarosto così buffoneggiando in quel punto se ne morì: e in tal guisa egli con le sue buffonarie ebbe miserabil fine.