voglio la metà di tutto quello che il papa ti concederà. Il che di fare Cimarosto liberamente rispose. Entrato adunque Cimarosto nella sontuosa camera del papa, vidde un vescovo tedesco, che stava discosto dal papa in un cantone; ed accostatosi a lui, si mise seco a ragionare. Il vescovo, che non aveva l’italiano idioma, ora tedesco ora latino parlava; e Cimarosto, fingendo di parlar tedesco, sì come e buffoni fanno, ciò che in bocca gli venea, respondeva. E di tal maniera erano le loro parole, che nè l’uno nè l’altro non intendeva quello si dicesse. Il papa, che era alquanto occupato con un cardinale, disse al cardinale: Odi tu che odo io? — Beatissimo padre, sì, rispose il cardinale. Ed avedutosi il papa, che ogni linguaggio ottimamente sapea, del burlo che faceva Cimarosto al vescovo, rise e gran piacere ne prese. E fingendo di ragionar col cardinale, acciò che la cosa più in lungo si traesse, gli voltò le spalle. Avendo adunque Cimarosto e il vescovo per gran spazio con grandissimo piacer del papa contrastato insieme, nè intendendo l’uno e l’altro il suo linguaggio, finalmente disse Cimarosto latinamente al vescovo: Di qual città sete voi? A cui rispose il vescovo: Io sono della città di Nona. All’ora disse Cimarosto: Monsignor mio, non è maraviglia se voi non intendevate il parlar mio, nè io il vostro; perciò che, se voi sete da Nona, e io sono da compieta. Sentita il papa la pronta e arguta risposta, si mise col cardinale in sì fatto riso, che quasi si smassellava. E chiamatolo a sè, l’addimandò chi egli era, e di dove venea, e che andava facendo. Cimarosto, prostrato a terra e basciato il piede al santo padre, rispose esser Bresciano, e nominarsi Cimarosto, e esser venuto da Brescia a lui per ottenere una grazia da sua santità. Disse il papa: Addimanda quel che vuoi. — Io,