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gran tempo esser stato, e ora esser da lei lontano, e per consequente esser impossibile lei di Ortodosio essere gravida. Per il che e parenti addolorati molto cominciorono temere il scorno che li poteva avenire, e tra loro più fiate deliberarono farla morire. Ma il timore d’Iddio, la perdita dell’anima del fanciullo, il mormorar del mondo e l’onor del marito da tal eccesso rimovendoli, volsero della creatura aspettare il nascimento. Venuto il tempo del parto, Isabella uno bellissimo fanciullo partorì. Il che inteso, e parenti grandemente si duolsero; e senza indugio ad Ortodosio in tal maniera scrissero: Non già per darvi noia, cognato carissimo, ma per dinotarvi il vero, noi vi avisiamo Isabella vostra moglie e sorella nostra aver non senza nostro grave scorno e disonore partorito un figliuolo, il qual di cui sia, noi no ’l sapiamo; ma ben giudicheressimo da voi esser generato, quando da lei voi non foste così lungamente stato lontano. Il fanciullo con la sfacciata madre sarebbe fin’ora per le nostre mani di vita spento, se la riverenza, che noi portiamo a Dio, intertenuti non ci avesse. E a Dio non piaccia che nel proprio sangue si macchiamo le mani. Provedete adunque a’ casi vostri, e salvate l’onor vostro, nè vogliate sofferire che tal offesa rimanga impunita. Ricevute che ebbe Ortodosio le lettere, e intesa la trista novella, grandemente si ramaricò; e chiamata Argentina, le disse: Argentina, a me fa bisogno molto di ritornar a Firenze, acciò che ispedisca certe mie bisogna di non picciola importanza; le quali fra pochi giorni ispedite, subito ritornerò a te. Tu in questo mezzo abbi cura di te e delle cose mie, non altrimenti giudicandole che se tue fussero; e vivi allegra, arricordandoti di me. Partitosi adunque di Fiandra, Ortodosio con prosperevole vento ritornò a