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Notte Settima
Tutte le parti dell’estremo e freddo occidente già cominciavano adombrarsi, e da Plutone l’amata amica già da ogni canto le notturne tenebre dimostrava, quando l’onesta e fida compagnia al palazzo della Signora si ridusse. Onde di mano in mano secondo i loro ordini postisi a sedere, sì come le trapassate notti aveano fatto, non altrimenti fecero la presente. Il Molino di ordine della Signora comandò il vaso fosse recato; e messavi la mano dentro, trasse prima di Vicenza il nome: indi, di Fiordiana: dopo, di Lodovica; riserbando a Lionora il quarto luogo e ad Isabella il quinto. Finito l’ordine di quelle che avevano a favoleggiare, la Signora ordinò che Lauretta una canzone cantasse: la quale ubidientissima senza altra iscusazione così a dire incominciò:
Ardo tremando e ne l’arder agghiaccio.
Disir d’un fermo amor fido e perfetto
Mi tien tra ’l sì e ’l no tardo e sospetto.
Arrei più volte il mio pensier scoperto,
Sol per temprar del core
L’infinita passion ch’al fin mi scorge.
Ma vergogna e timor del vostro onore,
Guerreggiando egualmente col desire,
Al lungo mio martire
Un tal effetto porge,
Che d’un sì ardente amor comprendo aperto
Il viver dubbioso e ’l morir certo.
Finita la soave ed amorosa canzone, Vicenza, a cui per sorte aveva tocco il primo aringo della presente notte, levatasi in piedi e fatta la debita reverenza, così a dire incominciò.