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guisa di sudore il sangue pioveva: e voltatosi verso la madre, che tra se stessa rideva, ad alta voce disse: Ogni un torni al suo mistero! ogni un torni al suo mistero! La madre, vedendo già aver vinta la lite, finse di dolersi; e disse al figliuolo: Panfilio, che sciocchezza è la tua? Che pensi tu di fare? È questa la promessa che fatta mi hai? Tu non potrai più dolerti di me, ch’io non ti abbia servata la fede. Panfilio, tuttavia forte grattandosi, con animo alquanto turbato rispose: Madre, ogni un torni al suo mistero; voi farete e fatti vostri, ed io farò e miei. E d’allora in qua il figliuolo non ebbe più ardire di riprender la madre, ed ella ritornò alla usata sua mercatanzia, aumentando le facende sue. Tutti gli ascoltanti rimasero molto sodisfatti della favola da Cateruzza recitata; e dopo che ebbero tra loro di essa alquanto riso, la Signora le comandò che ’l suo enimma proponesse; ed ella, per non turbare l’ordine consueto, in tal guisa sorridendo disse:
Qual cosa è tra noi donne e damigelle,
Larga non più, nè men di cinque dita;
Dentro ritien diverse e vaghe celle.
Con buona entrata, ma priva d’uscita.
Al primo entrar vi fa guardar le stelle.
Per non trovarsi libera ispedita;
Ma poi vien lunga stretta, larga e tonda,
Quanto più e meno la grossezza abonda.
L’oscuro enimma da Cataruzza recitato diede ampia materia alla brigata d’interpretarlo. Ma poscia che tutti minutamente pensarono e ripensarono, non fu veruno che la vera interpretazione sapesse. Onde la