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e danno. — Io, disse Panfilio, mi obligo di essequire quanto voi mi proponerete. Disse allora Polissena: Io da te, figliuolo, altro non voglio, salvo che per tre sere cessi di grattarti la rogna; e io li prometto di sodisfare al desiderio tuo. Il giovane, udita la materna proposta, stette alquanto sopra di sè: e quantunque dura gli paresse, nondimeno accontentò; e in fede di questo ambiduo si toccaron la mano. Sopravenne la prima sera, e Panfilio, partitosi da bottega, venne a casa; e posta giù la zamarra, si mise a passeggiare per camera. Indi, perchè il freddo lo molestava, si pose appresso il fuoco in un cantone; e tanto li crebbe la volontà di grattarsi, che quasi non si poteva ritenere. La madre, che era astuta e aveva acceso un buon fuoco, acciò che il figliuolo meglio si scaldasse, vedendolo torgersi e distendersi non altrimenti di quello ch’arrebbe fatto una biscia, disse: Panfilio, che fai tu? Guarda che non mi manchi della promessa fede, perció che io non son a te per mancare. Rispose Panfilio: Non dubitate punto di me, madre mia. State pur voi ferma, ch’io non vi mancarò; e tuttavia l’uno e l’altro rabbiava: l’uno di grattarsi la rogna, l’altra di ritrovarsi coll’amante suo. Passata con grandissima amaritudine la prima sera, sopraggiunse l’altra; e la madre, acceso un buon fuoco e apparecchiata la cena, aspettò il figliuolo che ritornasse a casa. Il quale strinse e denti, e meglio che ’l puote, ancor la seconda sera ottimamente passò. Polissena, vedendo la gran constanza di Panfilio, e considerando ch’erano passate due sere che grattato non si aveva, dubitò fortemente di non esser perdente; e tra se stessa si ramaricava assai. E perchè l’amoroso furore la tormentava molto, deliberò di far tal cosa ch’egli avesse causa di grattarsi, ed ella trovarsi colli suoi amanti. Onde fatta una