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morte. Ispedita la nobile isposizione del dotto enimma Lauretta, ch’appresso lui sedeva, alla sua favola diede principio.
FAVOLA VIII.
Grande è il peccato della gola, ma maggiore è quello dell’ipocresia, perciò che il goloso inganna se stesso, ma l’ipocrita con la sua simulazione cerca d’ingannare altrui, volendo parere quel che non è, e far quel che non fa; sì come avvenne ad uno prete di villa, il quale con la sua ipocresia offese l’anima ed il corpo suo, come ora brevemente intenderete.
Appresso la città di Padova trovasi una villa chiamata Noventa, nella quale abitava un contadino molto ricco e divoto. Costui per divozione sua, e per scarico dei peccati suoi e della moglie, fabricò una chiesiola, e dotatala di sofficiente dote, e intitolata di santo Onorato, presentò un sacerdote in rettore e governatore di quella, il quale era assai dotto in ragione canonica. Un giorno, che era certa vigilia di un santo, non però comandata dalla santa madre chiesa, il detto rettore, chiamato il diacono, andò a visitare ser Gasparo, ciò e il villano che l’aveva posto in governatore di essa chiesa, o per sue facende o per qual altra ragion si voglia. Il villano, volendo onorarlo, fece una sontuosa cena con arrosti, torte ed altre cose, e volle che restasse appresso a lui quella notte. Il sacerdote disse,