Pagina:Straparola - Le piacevoli notti II.djvu/280


— 268 —

tristo ribaldone, nè sperar da me aver salario alcuno. Rispose il servo aver servito tutto l’ordine contenuto nello instrumento publico e aver ubedito alli precetti suoi, secondo la continenzia di quello. Ricordatevi, signor mio, che, mentre mi comandaste ch’io stessi un anno a ritornare, che io ho ubbidito. E però mi pagherete il salario che m’avete promesso. E così andati a giudizio, giuridicalmente fu costretto il padrone à pagar il suo salario al servo.

La favola del signor Beltrame, che si faceva schivo di raccontarla, non dispiacque a gli auditori: anzi ad una voce degnamente la comendarono, pregandolo che anco dovesse proporre l’enimma con la sua consueta grazia. Ed egli, non volendo contradire a sì degni audienti, in tal maniera disse.

Giace una fiora, ed è soave tanto.
     Che nulla è par, ne l’estremo Occidente;
Ha picciol corpo, e il capo grave alquanto;
     E si dimostra queta e paziente:
Ma guarda basso, e seco guida pianto:
     Detto v’ho il nome; aggiate ne la mente
Che qual vista la mira, esser accorta
     Convien, chè morte dentro gli occhi porta.

Con non poca maraviglia fu ascoltato il leggiadro enimma: ma non inteso. Del qual la risoluzione fu, che era un animaletto chiamato cacopleba, che altro non vuol dire, che guardar basso. Questo animale ancor che paia bello e piacente, nondimeno l’uomo diè esser accorto, perchè dentro agli occhi l’animal porta la morte. Il che si può anco attribuire al demonio, il qual applaude e accarezza l’uomo, doppo l’uccide mediante il peccato mortale, e lo conduce ad eterna