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FAVOLA VII.


Giorgio servo fa capitoli con Pandolfo suo patrone del suo servire e alfine vince il patrone in giudicio.


Sin’ora questi magnifici gentil’uomini e queste amorevoli donne hanno tanto detto, che quasi non mi è restata più materia di dire. Ma acciò che io non disconcia il bel incominciato ordine, mi sforcerò in quanto per me si potrà, di raccontarvi una favola, la quale, ancora che non sia arguta, sarà nondimeno piacevole e di diletto, come ora intenderete.

Pandolfo Zabbarella, gentil’uomo padovano, fu uomo a’ giorni suoi valente, magnanimo e aveduto molto. Avendo egli dibisogno d’un servo che li servisse, nè trovandone uno che li piacesse, finalmente gli venne alle mani un doloroso e maligno, il qual nell’aspetto dimostravasi tutto benigno. Pandolfo l’addimandò se egli voleva andare a star con esso lui e servirli. Il servo, che Giorgio si nominava, rispose che sì, con questa però legge e patto di doverlo servire solamente per attendere e governare il cavallo e accompagnarlo, e del resto non voler impacciarsi in cosa alcuna. E così rimasero d’acordo, e di questo fu celebrato l’instrumento di man di notaio, sotto pena e ipoteca di tutti i suoi beni, e con giuramento. Un giorno cavalcando Pandolfo per certa via fangosa e malagevole, entrato per aventura in un fosso, dove non poteva il cavallo trarsi fuora del fango, dimandava l’aiuto dal servo, temendo di pericolare in quello. Il servo stava a guardare, e diceva a questo non esser obligato, perciò che tai cose