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tezza d’un uomo: altre che avevan l’acque fino a gli occhi, altre fino alla gola, altre fino alle mammelle, altre fino all’ombelico, che fino alle coscie, che fino alle ginocchia. Ed a cadauna di queste lagune vi aveva fatto porre una catena di ferro. E sopra la porta di questo luogo vi fece fare il titolo che diceva: Luogo da sanare i pazzi. Ed essendo divulgata la fama di questo palazzo, per tutto si sapeva la condizione di quello. E per tanto convenivano i pazzi da ogni parte in gran numero per sanarsi; anzi, per parlar più drittamente, vi piovevano. Il maestro, secondo la pazzia loro, li poneva in quelle lagune; e alcuni di quelli curava con busse, altri con vigilie e astinenzie: e altri per la sottigliezza e temperanza dell’aere a poco a poco riduceva al pristino loro intelletto. Innanzi alla porta e nella spaziosissima corte vi erano alcuni pazzi e uomini da niente, i quali per la gran calidità del sole percossi, erano grandemente afflitti. Avenne che di li passò un cacciatore che portava il sparaviere in pugno, circondato da gran moltitudine de cani. Il quale subito che vide questi pazzi, maravigliandosi che così cavalcasse con uccelli e cani, gli addimandò uno di loro che uccello fosse quello ch’egli portava in pugno, e se forse era una trappola, over calapio da uccelli, e a che effetto lo nodriva egli. Risposegli subito il cacciatore: Questo è un uccello molto rapace, e chiamasi sparaviere; e questi sono cani che vanno cercando le quaglie, uccelli grassi e di buon sapore. Quest’uccello le prende, e io le mangio. All’ora il pazzo dissegli: Deh, dimmi, priegoti, per quanto prezzo hai tu comperato questi cani e sparaviere? Risposegli il cacciatore: Per dieci ducati comprai il cavallo, per otto lo sparaviere e per dodeci li cani: e in nodrirgli spendo ogni anno da venti ducati. — Deh dimmi, per tua fè, disse il