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Notte decimaterza.
Già Febo aveva queste parti nostre abbandonate, e il lucido splendor del giorno erasi già partito, nè più cosa alcuna manifestamente si conoscea, quando la Signora uscita di camera, con le dieci damigelle andò fino alla scala, ricevendo lietamente la nobil compagnia, che già di barca era smontata. E postisi tutti a sedere secondo i loro gradi, disse la Signora: Mi parrebbe cosa convenevole che, dopo fatti alquanti balli e cantata una cancione, tutti, sì gli uomini come le donne dicessero una favola; perciò che non è onesto le donne aver solamente questo carico. E però, piacendo tuttavia a questa onorevole compagnia, ogn’uno racconterà la sua, con condizione però che breve sia, acciò che questa ultima sera di carnesale tutti possiamo favoleggiare. E il signor ambasciatore, come persona principal tra noi, sarà il primo; indi di uno in uno seguiranno gli altri, secondo gli ordini loro. Piacque a tutti il consiglio della Signora e poscia ch’ebbero fatte alcune danze, la Signora comandò al Trevigiano e al Molino che accordassero i loro stromenti e una canzonetta cantassero. I quali, figliuoli d’ubbidienza, presero i loro liuti e la sequente cancione cantarono: