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FAVOLA V.
Sì belle e sì acute sono state le novelle che hanno recitate queste nostre sorelle, che io dubito per la bassezza dell’ingegno mio mancar per via. Non però voglio desistere dal bell’ordine cominciato; e avenga che la nevella, che raccontar intendo, sia stata descritta da messer Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone, non però è detta nella maniera che voi udirete; perciò che vi ho giunto quello, che la fa più laudevole.
Sisto quarto, pontefice massimo, di nazione Genovese, nasciuto in Savona, città marittima, per avanti chiamato Francesco da Rovere, nella sua giovanezza a Napoli, andando alla scola, ebbe appresso di sè un cittadino, suo compatriota, detto Gierolomo da Riario, il quale lo serviva continoamente, e servillo non solo mentre andava alla scola, ma ancora dopo fatto monaco e prelato. E poi che ascese alla gran dignità pontificia, quello sempre giustamente e con gran fede servendo, s’era invecchiato; ed essendo Sisto, sì come è usanza, per la subita morte di Paolo, sommo pontefice, in luogo di lui elevato alla suprema pontifical dignità, sovenne ai servitori e domestici suoi per servizii da lor ricevuti, e quelli rimunerò largamente e oltre misura, eccetto questo Gierolomo, il quale, per la sua fedel servitù e pel troppo amore, fu pagato di oblivione e ingratitudine. Il che penso più tosto essere avvenuto per certa sua sciagura, che per alcun’altra cagione. Onde il detto Gierolomo, di mala voglia e da gran dolore soprapreso,