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tre egli visse, acciò non siano di miglior condizione e’ morti che gli vivi. — Conchiudo adunque per questa mia breve novella, che debbiamo far bene mentre viviamo, e non dapoi la morte, con ciò sin che oggidì, sì come dissi nel principio del mio parlare, o poco o niente si serva la fede ai morti.

Piacque a tutti l’ingenioso consiglio dell’astuto fratello minore, ma non piacque a Vicenza, a cui la cosa toccava. Ma acciò che ella non rimanesse addolorata, con un festevole e dilettoso enimma volse por fine alla sua favola, dicendo.

Con canti vengo e presso te mi pongo;
     Poi sopra il corpo tuo tutto mi stendo.
Dentro del bucco tuo metto il mio longo,
     E del tuo succo con diletto prendo;
E quanto più nel fondo lo perlongo,
     Tanto più mi compiaccio, e più m’incendo.
Asciutto me ne vo dentro cantando,
     E torno fuor pietoso e lagrimando.

Dimostra l’enimma la fante, che la mattina per tempo, o la sera, va al pozzo per attinger acqua; perciò che nell’andare e’ secchi stridono, e giunta al pozzo sopra quello si posa, e presa la fune in mano, dentro il pozzo col secchio la pone, e con diletto tragge l’acqua: e quanto più ella manda il secchio al fondo, tanto più l’infiamma traendolo fuori, perciò che acqua più fresca ne attinge; e ponendolo nel pozzo asciutto e traendolo fuori, tace e piange. Gran spasso e diletto prese la brigata del piacevole enimma, nè si poteva contener dalle molte risa. Ma poi che fu acchetata, Isabella alla sua favola diede principio, così dicendo.