questa, far il mio ultimo testamento, ed instituire erede il figliuol mio, che appo vostra reverenza è professo. E perchè a me non è rimaso altro figliuolo in questa mia vecchiezza, se non questo solo, qual desidero grandemente vedere, abbracciare, basciare e benedirlo, quella priego le piaccia mandarlomi con ogni celerità; altrimenti sappia vostra riverenzia che morendo di disperazione me n’andrò ai regni tartarei. Qual lettere presentate al guardiano del monasterio, ed ottenuta la licenza, il detto bigoncio n’andò a Firenze dove era il paterno domicilio: e prese molte gioie e danari dal padre, comperò preziose vesti, cavalli e masserizie e andò a Napoli; dove tolta a pigione una casa presso la sua innamorata, cambiavasi ogni giorno di vesti di seta mutatorie di diverse sorti. E fatta bellamente amicizia col padre dell’amata donna, invitavalo spesse volte a desinare e a cena con esso lui, e presentavalo, dandogli or una or un’altra cosa. Poi che molti giorni furono scorsi in questo modo, trovato il tempo congruo ed opportuno, un giorno dopo desinare cominciarono a ragionare di diverse cose e particolari suoi negozii, si come è costume de’ convivanti e tra l’altre cose disse lo innamorato giovane di voler tuor moglie. E perchè aveva inteso che egli aveva una figliuola molto gentile e bella, e dotata di ogni virtù, arrebbe piacere ch’ei gli la desse per moglie, acciò che legati fussero con duo legami, affermando a questa solamente avere inclinazione per le ottime sue condizioni a lui riferite. Il padre della giovane, che era di bassa condizione, gli rispondeva, la figliuola sua non esser di pari e ugual condizione a lui, che se abbino a celebrare tai sponsalizii; perciò ella era povera, ed egli ricco: ella ignobile, ed egli nobile; ma quando gli piaceva, ch’ei pur glie la darebbe non tanto per moglie, ma più tosto