avuto nè quarto nè terzo. Il donatore, che lo mandò, chiamato il servo, gli disse, a cui l’avesse consignato. Il servo diede i contrasegni dell’uomo, dicendo: Colui che tolse la carne per nome del patrone, era un uomo grasso di persona, allegro, con la panza grande, e parlava un poco barbosso, e portolla a un altro gentil’uomo. Subito il signor Ettore lo conobbe a’ contrasegni, perciò che era solito far simil berte; e chiamatolo a sè, trovò come era passata la cosa. E poi che molto l’ebbe ripreso, lo fece volar in prigione, e porli e ceppi a’ piedi, isdegnato tale obbrobrio esserli fatto per un giocolatore, il qual non temette di temerariamente ingannarlo. Non però stette in prigione tutto il giorno, perchè nel palazzo giudiciario, dove era carcerato il parasito, vi era per sorte un sbirro nominato Vitello; qual chiamò il carcerato, o per aggiongere male a male, o per trovar rimedio alla sua malattia, e fece una pistola al signor Ettore, dicendo: Signor mio, confidandomi della liberalità di vostra signoria, accettai il quarto di vitello a quella mandato in dono; ma ecco che per un quarto le mando uno vitello integro: e quella mi abbia per raccomandato. E mandò il sbirro con la pistola, che per nome suo facesse la sicurtà. Il sbirro subitamente andò al signor Ettore, e consignolli la pistola; la qual letta, il signor subito comandò a’ servi suoi che togliessero il vitello ch’aveva mandato il buffone, e che l’amazzassero. Il sbirro, ch’aveva udito che i servi lo dovessero prendere e uccidere, disnudò la spada che a lato aveva; e quella nuda tenendo in mano, e ravoltosi il mantello atorno il braccio, cominciò gridar con gran voce: È scritto, nella gran corte regnar grande inganno. Il vitello non torrete voi se non morto e smembrato. State indietro, servi; se non, sarete uccisi. I circonstanti rimasero