di cibi sontuosi, come i gran signori fanno, certo io mangerei assai meno di quello ch’io fo. Ma mangiando cibi grossi, che agevolmente si digeriscono, non mi par vergogna il molto mangiare. L’abbate, che con buoni capponi, fasciani, francolini e altre sorti di uccelli col priore e altri amici sontuosamente viveva, s’avide del parlare ch’aveva fatto il monaco; e temendo che apertamente non lo scoprisse, l’assolse, imponendogli che a suol bel grado mangiasse: e chi non sapeva ben mangiare e bere, il danno fusse suo. Partitosi don Pomporio dall’abbate e assolto, di dì in dì raddoppiò la piatanza, accrescendo al santo oratorio del buon piattello la divozione: e perchè don Pomporio dai monaci era di tal bestialità gravemente ripreso, montò sopra il pergamo del refettorio, e con bel modo li raccontò questa breve favola. Si trovarono, già gran tempo fa, il vento, l’acqua e la vergogna ad una ostaria, e mangiarono insieme; e ragionando di più cose, disse la vergogna al vento e all’acqua: Quando, fratello e sorella, ci troveremo insieme sì pacificamente, come ora ci troviamo? Rispose l’acqua certo la vergogna dice il vero: perciò che chi sa quando mai più verrà l’occasione di ritrovarsi insieme. Ma se io ti volesse trovare, o fratello, dov’e la tua abitazione? Disse il vento: sorelle mie, ogni volta che trovar mi volete per godere e stare insieme, verrete per mezzo di qualche uscio aperto o di qualche via angusta, chè subito mi troverete, perciò che ivi è la stanza mia. E tu, acqua, dove abiti? — Io sto, disse l’acqua, ne’ paludi più basse tra quelle cannelluzze; e sia secco quanto si voglia la terra, sempre ivi mi troverete. Ma tu, vergogna, dov’è la stanzia tua? — Io, veramente, disse la vergogna, non so; perciò che io sono poverella, e da tutti scacciata. Se voi verrete tra persone grandi a