gevano, tanto maggiormente li cresceva l’animo di aggiunger la broda al suo oratorio, non curandosi di riprensione alcuna. Aveva il porcone una virtù in sè, che mai si corocciava; e ciascuno contra di lui poteva dir ciò che li pareva, che non l’aveva a male. Avenne ch’un giorno fu al padre abbate accusato; il quale, udita la querela, fecelo a sè venire; e dissegli: Don Pomporio, mi è sta fatta una gran conscienzia de’ fatti vostri, la quale, oltre che contiene gran vergogna, genera scandolo a tutto il monasterio. Rispose don Pomporio: E che opposizione fanno contra me questi accusatori? Io sono il più mansueto e il più pacifico monaco, che nel vostro monasterio sia: nè mai molesto nè do impaccio ad alcuno, ma vivo con tranquillità e quiete e se da altrui sono ingiuriato, sofferisco pazientemente, nè per questo mi scandoleggio. Disse l’abate: Parvi questo lodevole atto? Voi avete un piatello non da religioso, ma da fettente porco, nel quale, oltre l’ordinario vostro, ponete tutte le reliquie che sopravanzano a gli altri; e senza rispetto e senza vergogna, non come umana creatura, nè come religioso, ma come affamata bestia, quelle divorate. Non vi fate conscienza, grossolone e uomo da poco, che tutti vi tengono il suo buffone? Rispose don Pomporio: E come, padre abbate, deverei vergognarmi? Dove ora si trova nel mondo la vergogna? e chi la teme? Ma se voi mi date licenza ch’io possa sicuramente parlare, io vi risponderò; se non, io me ne passerò sotto ubidienza, e terrò silenzio. Disse l’abbate: Dite quanto vi piace, che siamo contenii che parliate. Assicurato don Pomporio allora disse: Padre abbate, noi siamo alla condizione di quelli che portano le zerle dietro le spalle; perciò che ogn’un vede quella del campagne, ma non vede la sua. S’ancor io mangiasse