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FAVOLA III.


Don Pomporio monaco viene accusato all’abbate del suo disordinato mangiare; ed egli con una favola mordendo l’abbate, dalla querela si salva.


Io vorrei questa sera esser digiuna, e non aver il carico di raccontarvi favole, perchè in verità non me ne soviene pur una, che dilettevole sia. Ma acciò ch’io non disturbi il principiato ordine, ne dirò una, la quale, ancor che piacevole non sia, nondimeno vi sarà cara.

Trovavasi ne’ tempi passati in un famoso monasterio, un monaco di età matura, ma notabile, e gran mangiatore. Egli s’avantava di mangiare in un sol pasto un quarto di grosso vitello e un paio di capponi. Aveva costui, che don Pomporio si chiamava, un piatello, al quale aveva posto nome oratorio di divozione, e a misura teneva sette gran scutelle di minestra. E, oltre il companatico, ogni giorno, sì a desinare come a cena, la empiva di broda o di qualche altra sorte, di minestra, non lasciandone pur una minuzia andare a male. E tutte le reliquie, ch’a gli altri monaci sopravanzavano, poche molte che ci fosseno, erano all’oratorio appresentate, ed egli nella divozione le poneva. E quantunque lorde e sozze fusseno, perciò che ogni cosa faceva al proposito del suo oratorio, nientedimeno tutte, come affamato lupo, le divorava. Vedendo gli altri monaci la sfrenata gola di costui e la grande ingordigia, e maravigliandosi forte della tanta poltroneria sua, quando con buone e quando con rie parole lo riprendevano. Ma quanto più li monaci lo correg-