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molto lontana dal vero. Fiordiana, veggendo il suo enimma irresolubile rimanere, disse: Signori, il mio enimma altro non dinota, salvo questa machina mondana, la quale è come un giardino di fiori, ciò è di stelle, e per dentro corre un fior rosso, che è il sole, e una rosa bianca, che è la luna; e ambidue giorno e notte girano e illuminano l’universo. In questa macchina è piantata una quercia che è l’anno, e ha dodici rami, cioè dodeci mesi: di quai rami ciascun ha quattro ghiande, cioè quattro settimane del mese. Intesa la vera interpretazione dell’oscuro enimma, tutti universalmente la comendarono; e Lionora, che le sedeva appresso, senza aspettar altro comandamento dalla Signora, così disse.


NOVELLA II.


Xenofonte notaio fa testamento, e lascia a Bertuccio suo figliuolo ducati trecento; di quai cento ne spende in un corpo morto, e ducento nella redenzione di Tarquinia, figliuola di Crisippo, re di Novara; la quale infine prende per moglie.


Dice il commune proverbio, che per far bene non si perde mai. Ed è il vero: sì come avvenne ad un figlio d’un notaio, il qual per giudizio della madre malamente aveva spesi i suoi danari; ma nel fine l’uno e l’altro rimase contento.

In Piamonte, nel castello di Trino, fu ne’ passati tempi un notaio, uomo discreto ed intelligente, il cui nome era Xenofonte; ed aveva un figliuolo d’anni quindici, chiamato Bertuccio, il qual teneva piuttosto del scempio che del savio. Avenne che Xenofonte