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stantino gli addimandava cosa alcuna, rispondevano che egli andasse dalla sua gatta, che glie ne darebbe. Per il che il povero Costantino con la sua gatta assai pativa. La gatta, che era fatata, mossa a compassione di Costantino, e adirata contra i duo fratelli che sì crudelmente lo trattavano, disse: Costantino, non ti contristare; perciò che io provederò al tuo e al viver mio. Ed uscita di casa, se n’andò alla campagna; e fingendo dormire, prese un lepore, che a canto le venne, e l’uccise. Indi andata al palazzo regale e veduti alcuni corteggiani, dissegli voler parlar col Re: il qual, inteso che era una gatta che parlar gli voleva, fecela venire alla presenza sua; e addimandatala che cosa richiedesse, rispose, che Costantino suo patrone gli mandava donare un lepore che preso aveva: e appresentòlo al Re. Il Re, accettato il dono, l’addimandò chi era questo Costantino. Rispose la gatta, lui esser uomo che di bontà, di bellezza e di potere non aveva superiore. Onde il Re le fece assai accoglienze, dandole ben da mangiare e ben da bere. La gatta, quando fu ben satolla, con la sua zampetta con bel modo, non essendo d’alcuno veduta, empìa la sua bisciaccia, che da lato teneva, d’alcuna buona vivanda; e tolta licenzia dal Re, a Costantino portòle. I fratelli, vedendo i cibi, di quai Costantino trionfava, li chiesero che con loro i partecipasse: ma egli, rendendogli il contracambio, li denegava. Per il che tra loro nacque una ardente invidia, che di continovo rodeva loro il core. Costantino, quantunqne fusse bello di faccia, nondimeno, per lo patire ch’aveva fatto, era pieno di rogna e di tigna, che gli davano grandissima molestia; e andatosene con la sua gatta al fiume, fu da quella da capo a piedi diligentemente leccato e pettinato, e in pochi giorni rimase del tutto liberato. La gatta, come dicemmo