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intorno la piaga del signore. Ed essendo ben mollificata, la succhiava con la bocca; indi tolse certa erba e cacciolla nella piaga, e tanta fu la sua virtù, che subito andò al core, e quello sommamente allegrò. Laonde il signor a poco a poco cominciò aver le forze: e di morto, vivo rivenne. Il che vedendo quelli che vi erano presenti, restorono stupefatti; e subito corsero al Re, e gli dissero, Cesarino vivere. Inteso questo, il Re e la figliuola, che Doratea si chiamava, vi andorono in contra, e con insperata letizia l’abbraciorono, e con gran festa al regal palazzo lo condussero. Venne la nuova alla madre e alle sorelle di Cesarino, come era risuscitato. Il che molto le dispiacque: ma pur fingendo d’aver allegrezza, andorono al palazzo; e giunte al conspetto di Cesarino, la piaga gettò gran quantità di sangue. Di che elle si smarrirono, e pallide divennero. Il che veggendo, il Re ebbe non poco sospetto contra loro; e fattele ritenere e mettere alla tortura, confessorono il tutto. Il Re senza indugio le fece vive ardere, e Cesarino e Doratea a lungo tempo felicemente si goderono insieme, e lasciorono dopo sè figliuoli; e gli animali, finchè da natural morte morirono, furono con molta diligenza serviti.
Dopo che Alteria mise fine alla sua favola, senz’altro comandamento aspettare, l’enimma in tal maniera raccontò, dicendo:
Nome ho di donna, ed ho meco un fratello,
Qual morto, io nasco, e morta io, rinasce esso.
Nè mai mi posso accompagnar con ello,
Che tosto fugge, che gli giungo addosso.
Partomi, e torno, e volo più che augello.
Ne ad alcun mai toccarmi fu permesso.
E vosco spesso mi ritrovo a cena.
Quantunque mora, e nasca senza pena.