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Già era venuta al fine la favola di Arianna donnescamente recitata. Ed ancor che fosse stata positiva e di poco succo, pur la bella ed onorata compagna non restò di sommamente comendarla. Ed acciò che si tenesse l'ordine nelle altre notti diligentemente osservato, la Signora comandò che ’l suo enimma dicesse. Ed ella senza indugio in tal maniera la bocca aperse.

Grande e brutto son io, grosso e rotondo,
     Ed a le donne do molto diletto.
Elle m’abbracian con viso giocondo,
     E fra le coscie lor mi tengon stretto.
Elle pungonmi e danno, ed io secondo
     Lor voglie star convengo al mio dispetto.
Donne, se questa cosa indovinate,
Dirò ben certo che sete fatate.

L’enimma da Arianna raccontato fu di più piacere che la favola, perciò che diede molto da ridere, e quasi tutti lascivamente l’interpretavano. Ma Arianna, conoscendo la lor interpretazione esser devia dal vero, disse: Signori, il mio enimma altro non dinota che il bastone sopra il quale le donne fanno le cordelle: perciò che è tondo e grosso, e vien tenuto dalle donne tra le coscie; e quando lavorano, il pungono con gli agi, lo percuoteno e lo fanno stare a suo modo. — Bella, anzi bellissima fu giudicata la sottil interpretazione. Ma Alteria, che vedeva che tutti ormai tacevano, levatasi in piedi, alla sua favola diede principio, in tal maniera dicendo.