teneva una femina, la qual era la radice del cuor suo, e della moglie nulla si curava. Di che la moglie dolendosi molto, non poteva sofferire che l’unica sua bellezza, estimata da tutti, fusse dal marito sì vilmente sprezzata. Ritrovandosi la bella donna di state in villa e sola soletta passiggiando dinanzi la porta della sua casa, tra se stessa minutamente considerava le maniere, i costumi, gli atti del marito e il poco amore ch’egli le portava: e come una trista e vil femminuzza, immonda e sporca gli abbia così tosto abbarbagliati gli occhi dell’intelletto, che non veda. E tra se medesima ramaricandosi diceva: Oh quanto meglio sarebbe stato che ’l padre mio m’avesse maritata in un povero, che in costui che è ricco; per ciò che io viverei, più di quel ch’io fo, lieta e contenta. Che mi vagliono le pompose vesti? che mi vagliono le gemme, i monili, i pendenti e le altre care gioie? Veramente tutte queste cose sono fumo a comparazione del piacere che prende la moglie col marito. Dimorando la signora Veronica in questi noiosi pensieri, apparve disavedutamente una feminella povera e mendica, la cui arte era di rubare questo e quello; ed era sì astuta e sagace, che, non che una donnicuolla, ma ogni gran uomo, ancor che prudente, arrebbe fatto stare. Costei, che Finetta si chiamava, veduta che ebbe la gentil madonna passiggiare dinanzi la casa, e vedutala star tutta pensosa, subito fece disegno sopra di lei; e, accostatasi a lei, riverentemente la salutò e chiesele limosina. La donna, che altro aveva in capo che far limosina, con turbato viso l’espulse. Ma Finetta, astuta e maledetta, non si partì, ma fissamente guardò il volto della donna; e veggendola mesta disse: O dolce madonna, che vi è intravenuto, che sì pensorosa vi veggo? Vi darebbe per avventura il vostro marito mala vita? Volete ch’io