Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 151 — |
Morto son, com’ogni un conosce e crede;
Ed alma e spirto tengo, e mi lamento.
Guarda che dura sorte il ciel mi diede!
Che quando alcun mi bussa, nulla sento.
Chi mi dà delle mani, chi del piede;
Chi qua, chi là mi spinge in un momento.
O dura sorte! error non ho commesso,
E ogni un mi scaccia qual nemico espresso.
Vicenza, che vedeva niuno intendere il dubbioso enimma, con leggiadra e laudevole maniera in tal guisa il nodo sciolse: L’enimma, da voi con attenzione ascoltato, altro non dinota eccetto la palla grossa, la quale è morta e ha lo spirito quando è gonfiata; e vien gittata da’ giuocatori or quinci or quindi con mani e piedi, ed è da tutti come capital nemica scacciata. — Fiordiana, a cui l’ultimo aringo della presente notte toccava, levossi in piede, e allegramente disse: Signora, mi sarebbe di non picciolo contento, quando il signor Ferier Beltramo volesse per gentilezza sua farmi una grazia, per la quale io gli sarei sempre tenuta. Il signor Ferier, sentendosi nominare e richieder la grazia, disse: Signora Fiordiana, a voi sta il comandare e a me l’ubidire. Comandate adunque quel che vi piace, che sforzerommi di contentarvi a pieno. La damigella, udita la benigna risposta, prima molto lo ringraziò del suo buon volere: dopò disse: Altro, signor Feriero, da voi non chieggo, se non che ora, che a me tocca la volta di favoleggiare, in luogo mio una favola raccontate. Il signor Feriero, intesa l’onesta dimanda, prima con amorevoli parole, come sempre fu di suo costume, alquanto si escusò; poscia, veggendo l’animo suo e di tutta la compagnia esser a questo inchinevole, posta giù ogni durezza, disse: Io, signora Fiordiana, per