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che cordialmente amava Pirino, determinò di mandarlo in studio a Padova e non gli lasciare cosa alcuna, che ad uno studioso appartiene, mancare; e così fece. Passato un certo tempo, il figliuolo, assai ben fondato nell’arte della grammatica, tornò a casa: non già per rimpatriare, ma per visitare e parenti e gli amici suoi. Gianotto, desideroso dell’onor del figliuolo e volendo sapere s’egli faceva nel studio profitto, determinò d’invitare e parenti e gli amici e fargli un bel desinare, e pregar messer pre’ Papiro che in presenza loro l’esaminasse, acciò che vedessero se egli perdeva il tempo in vano. Venuto il giorno dell’invito, tutti e parenti e gli amici, secondo l’ordine dato, si ridussero a casa di Gianotto; e fatta la benedizione per messer lo prete, tutti, secondo la loro maggioranza, sederono a mensa. Finito il desinare e levate le tovaglie, Gianotto si levò in piede, e disse: Messere, io volentieri vorrei, tuttavia piacendovi, che voi essaminaste Pirino mio figliuolo, acciò che noi vedessimo se egli è per far frutto o no. A cui messer pre’ Papiro rispose: Gianotto, compare mio, questo è poco carico a quello che io vorrei far per voi, perciò che quello, che ora mi comandate, è una cosa minima alla sofficienza mia. E voltato il viso verso Pirino, che a dirimpetto sedeva, così disse: Pirino, figliuol mio, noi siamo qua tutti raunati ad uno istesso fine, e desideriamo l’onor tuo, e vogliamo sapere se tu hai ben dispensato il tempo nel studio di Padova. Onde, per sodisfamento di Gianotto tuo padre e per contento di questa onorevole brigata, noi faremo un poco di essaminazione sopra le cose che hai imparato a Padova; e se tu ti porterai, sì come noi speriamo, valorosamente, tu darai a tuo padre e a gli amici e a me consolazione non picciola. Dimmi adunque, Pirino, figliuolo mio: come si addimanda latinamente il prete? Pirino, ch’era