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FAVOLA IIII.
Se noi, piacevoli donne, volessimo, con quella diligenzia che si conviene, prudentemente cercare quanto grande sia il numero di sciocchi e d’ignoranti, con assai agevolezza trovaressimo essere innumerabile; e se più oltre volessimo conoscere i diffetti che dalla ignoranza procedeno, andiancene dalla isperienza, di tutte le cose maestra, ed ella, come madre diletta, il tutto ci dimostrerà. Ed acciò che noi non ce ne andiamo con le mani, come volgarmente si dice, piene di mosche, dicovi che da lei, tra gli altri vicii, nasce uno che è la superbia, fondamento di tutti e mali e radice d’ogni umano errore; per ciò che l’uomo ignorante si presume sapere quel che non sa, e vuole apparere quel che non è: sì come avenne ad un prete di villa, il quale, presumendosi esser scienziato, era il maggior ignorante che mai la natura creasse. Ed ingannato dalla falsa sapienzia sua, rimase della facoltà e quasi della vita privo: sì come per la presente novella, la qual forse ancora intesa avete, a pieno intenderete.
Dicovi adunque che nel territorio di Brescia, città assai ricca, nobile e popolosa, fu, non già molto tempo fa, uno prete, il cui nome era Papiro Schizza; ed era rettore della chiesa della villa di Bedicuollo, non molto discosta dalla città. Costui, che era essa ignoranza, faceva il literato, e mostravasi con ogni uno esser