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gravemente ferito, si mossero a pietà; e scesi giù di suoi cavalli, si misero a gettar giù la porta, gridando ad alta voce: Ah traditore, ah nemico di Dio! Apri l’uscio, che stai a fare? tu patirai la pena del tuo fallo. Il duca nulla rispondeva, ma con ogni studio ed arte attendeva a fortificar la porta, non conoscendo però che quelli fussero e compagni suoi. Dimorando e giovani in questo conflitto, nè potendo per violenza alcuna aprir l’uscio, uno de’ compagni, tiratosi da parte, vidde un cavallo che era nella corte al siepe legato; e avvicinatosi a lui, conobbe quello esser il cavallo del signore, e ad alta voce disse: Acquetatevi, signor’ cavallieri, e non procedete più oltre, perciò che ’l nostro signor è qua dentro; e dimostrogli il cavallo legato al siepe. I compagni, veduto e conosciuto il cavallo, fermamente pensarono il duca esser dentro nella chiusa casa, e con grandissima allegrezza il chiamorono per nome. Il duca, sentendosi chiamare, subito conobbe quelli esser i compagni suoi; e assicuratosi della vita e dispuntellato l’uscio, aperse. Ed intesa la causa del suo chiudersi in casa, presero i malfattori, e strettamente legati, a Melano li condussero; e prima con affocate tanaglie furon tormentati: dopo, così vivi, da quattro cavalli squartati. La fanciulla, che Verginea si chiamava e lo scelerato trattato scoperto aveva, fu dal duca data in governo alla signora duchessa, che l’ammaestrasse. E venuta alli nubili anni, in ricompensamento di tanto beneficio, quanto il Duca ricevuto aveva, fu in un gentil cavalliere con amplissima dote onorevolmente maritata. E presso questo le diede in dono il castello di Binasio, posto fra Melano e Pavia: il quale oggidì per le continove guerre è in sì fatta maniera distrutto, che non ci è rimasta pietra sopra pietra. E in tal modo e tristi e sciagurati finirono la vita