percuoter l’uscio per gettarlo giù; ma nulla faceva, perciò che era ben puntelato. Il duca senza indugio diserrò la seconda bocca; e ’l diserrar fu di tal sorte, che nel braccio destro ferì un altro de’ compagni a morte. Sdegnati allora quelli che erano rimasti vivi, si misero alla forte per gettar giù l’uscio; e sì fatto romor facevano, che pareva che roinasse il mondo. Ma il duca, che stava non senza spavento, fortificava la porta con scanni, panche ed altre cose. E perchè quanto più la notte è lucida e serena, tanto più è tranquilla e queta, e ogni moto, ancor che lontano, di leggieri si sente, fu dalla compagnia del signor il strepito sentito. Onde riserrati insieme e lasciate a’ cavalli in libertà le briglie, subito aggiunsero al luogo dove era il romore, e videro e malfattori che s’affaticavano gettar giù la porta. Ai quali disse uno della compagnia: Che contenzioni e romori sono questi che voi fate? Rispose Malacarne: Signori, io vel dirò. Questa sera, essendo venuto a casa tutto lasso, trovai un giovane soldato, della vita molto disposto. E perchè egli voleva uccidere il mio vecchio padre, sforciare la moglie, rapire la fanciulla e togliermi la robba, io me ne fuggii per non poter far difesa: e vedendomi a mal partito ridotto, me n’andai a casa di certi miei amici e parenti, e li pregai che mi aiutasseno; ed aggiunti che fussemo a casa, trovassimo l’uscio chiuso e fortemente puntelato di dentro, di modo che non potevamo entrare, se prima l’uscio non era rotto. E non contento del forzo della mia moglie, hammi anco con un scoppio ucciso, come voi vedete, l’amico, e l’altro a morte ferito. Onde, non potendo sofferire tanta ingiuria, io il voleva aver nelle mani, o morto o vivo. I giovani del duca, udendo il caso, e parendogli verisimile per lo corpo che morto in terra giaceva, e per lo compagno