Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 134 — |
sopra le spalle; e senza esser veduto da alcuno, poselo su la porta del regal palazzo. Il Re, intesa la trista nuova, voleva de dolor ed ira se stesso uccidere; ma poscia, ritornato in sè, mandò per gli medici, che vedessino e giudicassino la causa della sua morte. I medici separatamente videro il corpo morto, e conformemente riferirono essere morto non da ferro nè da veneno, ma da dolore intrinseco. Il che inteso, ordinò il Re che si apparecchiassero le funerali essequie, e che il cadavere nella chiesa catedrale fusse portato e che tutte le donne della città, di qualunque condizione esser si voglia, sotto pena della disgrazia sua, debbano andar alla bara e basciare il figliuolo morto. Concorseno molte matrone, le quali per pietà largamente il piansero; e tra l’altre vi andò la infelice Violante; la qual, desiderando almeno morto veder colui, a cui vivo non aveva voluto d’un sol bascio compiacere, gettossi sopra il morto corpo: e pensando che per amor di lei era privo di vita, ritenne sì fattamente il fiato, che senza dir parola passò della presente vita. Le donne, vedendo l’inopinato caso, corsero ad aiutarla; ma in vano si affaticarono, perciò che l’anima s’era partita e andata a trovar quella di Rodolino, suo diletto amante. Il Re, che sapeva l’innamoramento di Violante e del figliuolo lo tenne secreto: e ordinò che ambiduoi fussero in una stessa tomba sepolti.
Già Lionora aveva messo fine alla compassionevole sua favola, quando la Signora le fece motto che con l’enimma seguisse; la quale senza indugio disse.
Per me sto ferma, e se tal’un m’assale,
Vo su per tetti, e spesso urto nel muro.
Le percosse mi fan volar senz’ale,
E saltar senza piedi al chiaro al scuro.