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padre di povero grandissimo ricco divenne, e Lattanzio, d’invidia e odio pieno, ucciso rimase.

Era già giunta al suo termine la dilettevole favola da Alteria recitata, ed a tutti universalmente piaciuta, quando la Signora le fe’ motto che con l’enimma seguisse. Ed ella lieta in tal guisa il propose.

L’amante mio, che troppo m’ama e prezza,
     Con diletto or mi stringe, ed or mi tocca;
Ora mi bascia, ed ora m’accarezza,
     Ed or la lingua sua mi mette in bocca.
Dal menar nasce poscia una dolcezza
     Così soave, che l’alma trabocca.
E forza è trarlo, per sciugarlo, fuore.
     Dite, donne, se ciò e quel fin d’amore.

L’enimma diede agli uomini non poco che dire: ma Arianna, che poco innanzi era sta’ schernita da Alteria, disse: Signori, non vi turbate, e cessino i cuori vostri pensar male; perciò che l’enimma, da que' mia sorella raccontato, altro non dimostra eccetto il trombone: il quale dal suonatore vien menato su e giù, e vien sciugata l’acqua, che vi è dentro, per meglio suonare. Alteria, intesa la vera interpretazione del suo enimma, confusa rimase, e volse quasi adirarsi; ma poscia che ella conobbe esserle stato reso il cambio, s’acquetò. E la Signora commise a Lauretta che dicesse. Ed ella immantinente alla sua favola diede incominciamento, così dicendo.