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FAVOLA IV.


Maestro Lattanzio sarto ammaestra Dionigi suo scolare; ed egli poco impara l’arte che gli insegna, ma ben quella che ’l sarto teneva ascosa. Nasce odio tra loro, e finalmente Dionigi lo divora: e Violante figliuola del re per moglie prende.


Varii sono i giudicii degli uomini e varie le volontà; e ciascaduno — come dice il savio — nel suo senso abbonda. Da qua prociede che degli uomini alcuni si danno al studio delle leggi, altri all’arte oratoria, altri alla speculazione della filosofia, e chi ad una cosa, e chi a l’altra: così operando la maestra natura, la quale, come pietosa madre, muove ciascaduno a quel che gli aggrada. Il che vi fia noto, se al parlar mio benigna audienza presterete.

In Sicilia, isola che per antiquità tutte le altre avanza, è posta una nobilissima città; la quale per lo sicuro e profondissimo porto è chiara, e volgarmente è detta Messina. Di questa nacque maestro Lattanzio; il quale aveva due arti alle mani, e di l’una e di l’altra era uomo peritissimo: ma una essercitava publicamente, e l’altra di nascosto. L’arte che egli palesemente essercitava, era la sartoria; l’altra, che nascosamente faceva, era la nigromanzia. Avenne che Lattanzio tolse per suo gargione un figliuolo d’un pover uomo, acciò che imparasse l’arte del sarto. Costui, che era putto, e Dionigi si chiamava, era sì diligente ed accorto, che quanto gli era dimostrato, tanto imparava. Avenne che, sendo un dì maestro Lattanzio