a cenare con lei. Savia, ricevute le robbe, cominciò apparecchiare la cena; e maestro Chechino si ascose, aspettando che maestro Tiberio se ne venisse. Stando adunque maestro Chechino in aspettazione, ecco maestro Tiberio venire, ed entrare in casa: e veduta l’amante che preparava la cena, volse darle un bascio; ma ella fece resistenza, e disseli: Sofferete un poco, anima mia, poi che patito avete tanto; che non è convenevole che io, così lorda dalla cucina, vi tocchi; e tuttavia acconciava e polli nel schidone e la vitellina carne nella pentola. Maestro Chechino erasi messo ad un pertugio secreto che guardava nella camera; e stavasi ad ascoltare ciò che fra loro dicevano, e a vedere ciò che facevano: temendo forse che la berta non andasse doppia. Stando adunque Savia ne gli suoi termini e fingendo di far or l’una or l’altra cosa, pareva a maestro Tiberio che l’anima dal corpo si partisse; ed acciò che più tosto ella si espedisse, le porgeva mano ad apparecchiar le cose; ma ella meno s’affrettava. Vedendo maestro Tiberio la cosa andar in lungo, e parendogli l’ora oltre modo passare, disse alla donna: Tanto è il desiderio d’esser con esso voi, che mi è fuggita la voglia di mangiare; nè intendo questa sera altrimenti cenare. E trattesi le vestimenta di dosso, se n’andò a letto. Savia, che di lui se n’arrideva, berteggiando gli disse. Qualche pazza resterebbe di cenare. Se voi, padre, siete pazzo a non voler cenare, il danno sia vostro: io ora non voglio privarmi della cena; e così dicendo continovava far gli servigi suoi. Maestro Tiberio pur la sollecitava che a letto se n’andasse; ed ella maggiormente tardava. Pur alla fine vedendolo astoso, per accontentarlo disse: Padre mio, io mai non dormirei con uomo che tenga la camiscia in dosso la notte; se volete che io venga