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Non senza grandissime risa la isposizione del sottil enimma fu ascoltata da tutti; nè vi fu alcuno, che per lo ridere sopra le panche non si distendesse. Ma poi che dalla Signora fu comandato che ogni uno tacesse, ella si volse verso il Molino, e disse: Signor Antonio, sì come la diana stella colla sua luce avanza tutte l’altre, così la favola da voi raccontata col suo enimma porta il vanto di tutte l’altre che sinora abbiamo udite. Rispose il Molino: Il vanto, Signora, che voi mi date, non procede da mio sapere, ma da l’alta cortesia e gentilezza che in voi sempre regna. Ma quando vi fusse a grado che ’l Trivigiano ne raccontasse una nella contadinesca lingua, rendomi certo che voi ne prendereste maggior piacere di quello che avete preso nell’ascoltare la mia. La Signora, che desiderava molto di udirlo, disse: Signor Benedetto, udite quello che dice il vostro Molino. Certo voi li fareste gran torto, se lo faceste rimaner bugiardo. Mettete adunque mano alla scarsella, e tirate fuori una contadinesca favola, e con quella rallegratene tutti. Il Trivigiano, a cui pareva sconvenevole molto torre la volta alla Signora Arianna a cui toccava il dire, prima si escusò; dopo, vedendo non poter schifare tal scoglio, alla sua favola diede principio, così dicendo: