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commesso fallo, e lasciavalo ramaricarsi e cuocersi nel suo unto. Finalmente, avendolo così tenuto per spazio di due ore, e volendoli remediare, da capo il fece inchinare; e messa mano alla tagliente spada, la testa gli troncò dal busto. Dopo, presa la testa in mano, ed accostatala al busto ed unta con suoi empiastri, nel primo suo esser ritornare il fece. Il giovane, vedendosi ridotto nel pristino suo stato, de’ suoi panni si rivestì; ed avendo veduta la paura, e per esperienza provato quanto brutta e paventosa era la morte, senza altro commiato prendere dalla vecchiarella, per la più breve ed ispedita via ch’egli seppe e puote, ad Ostia se ne ritornò: cercando per lo innanzi la vita e fuggendo la morte, dandosi a migliori studi di quello che per lo adietro fatto aveva.

Restava a Lionora proporre il suo enimma: onde tutta festevole disse.

Per un superbo e spazioso prato
     Di verde erbette e vaghi fiori adorno,
Passan tre ninfe per divino fato,
     Ne si ferman giamai notte nè giorno.
L’una la rocca tien dal manco lato;
     L’altra col fuso a’ piedi fa soggiorno;
La terza con il brando sta da sezzo,
     E spesso il debil fil tronca nel mezzo.


Il presente enimma con molta agevolezza fu da tutti inteso, perciò che il superbo e spazioso prato è questo mondo in cui dimoriamo tutti. Le ninfe sono le tre sorelle: cioè, Cloto, Lachesis e Atropos, le quali, secondo la poetica finzione, dinotano il principio, il mezzo ed il fine della vita nostra. Cloto, che