zione, si partì. Continovando adunque Flamminio il suo viaggio, trapassò molte profonde valli, sassose montagne ed inospiti boschi, vedendo vari e paventosi animali, dimandando a ciascuno s’egli era la morte. A cui tutti rispondevano, non esser lei. Or avendo scorso molti paesi e vedute molte strane cose, finalmente giunse ad una montagna di non picciola altezza; e quella trapassata, discese giù in una oscura e profondissima valle, chiusa di alte grotte, dove vide una strana e mostruosa fiera, la quale con suoi gridi faceva rimbombare tutta quella valle. A cui Flamminio disse: Chi sei tu? Olà, saresti mai tu la morte? A cui la fiera rispose: Io non sono la morte, ma segui il tuo cammino, che tosto la troverai. Udita Flamminio la desiderata risposta, molto s’allegrò. Era già il miserello, per la lunga fatica e duro strazio per lui sostenuto, stanco e semi morto, quando come desperato giunse ad un’ampia e spazioza campagna; ed asceso un dilettevole e fiorito poggetto, non molto eminente, e remirando or quinci or quindi, vide le mura altissime di una bellissima città, che non era molto lontana: e postosi a camminare con frettoloso passo, nel brunire della sera ad una delle porte pervenne: la quale era adornata di finissimi e bianchi marmi. Ed entratovi dentro, con licenza però del portinaio, nella prima persona ch’egli s’abbattè, s’incappò in una vecchiarella molto antica e piena di grand’anni, di volto squallida; ed era sì macilenta e macra, che per la sua macrezza tutte le ossa ad una ad una si arebbono potuto annoverare. Costei aveva la fronte rugosa, gli occhi biechi, lagrimosi e rossi, che la porpora somigliavano, le guance crespe, le labbra riversate, le mani aspere e callose, il capo e la persona