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su per le stanghe ed uno fondaco di varie e bellissime vestimenta pieno. A cui disse Flamminio: Iddio sia con voi, maestro mio. A cui lo sarto: E con voi sia ancora. — E che fate voi, disse Flamminio, di sì belle e ricche robe e sì onorate vestimenta? sono tutte vostre? A cui rispose il maestro: Alcune sono mie, alcune di mercatanti, alcune di signori, ed alcune de diverse persone. — E che ne fanno di tante? disse il giovane. A cui lo sarto rispose: Le usano ne’ diversi tempi; e mostrandogliene, diceva: queste lo state, quelle lo verno, quest’altre da mezzo tempo, e quando l’una, e quando l’altra si vesteno. — E poi, che fanno? disse Flamminio. — E poi, rispose lo sarto, vanno così scorrendo sino alla morte. Sentendo nominare Flamminio la morte, disse: dolce mio maestro, mi sapereste voi dire, dove si trovi questa morte? Rispose lo sarto, quasi d’ira acceso e tutto turbato: figliuolo mio, voi andate addimandando le strane cose. Io non ve lo so dire nè insegnare, dove si trovi; nò di lei giamai pur penso, e chiunque me ne ragiona di lei, grandemente mi offende; però ragioniamo d’altro, o partitevi di qua; che io sono nemico de tai ragionamenti. E preso commiato da lui, si partì. Aveva già scorso Flamminio molti paesi, quando aggiunse ad uno luogo deserto e solitario, dove trovò uno eremita con la barba squalida, e dagli anni e dal digiuno tutto attenuato: aveva la mente sola alla contemplazione; e pensò che egli nel vero fosse la morte. A cui Flamminio disse: Voi siate il ben trovato, padre santo. — E voi il ben venuto, mio figliuolo, rispose lo eremita. — O padre mio, disse Flamminio: e che fate voi in questo alpestre ed inabitabile luogo, privo d’ogni diletto e d’ogni consorzio umano? — Io mi sto, rispose lo ere-